L’esposizione TUBATURE si propone come uno sguardo su una selezione di pratiche artistiche che s’incontrano nelle profonditĂ piĂą radicate e oscure della quotidianitĂ e nelle retrovie piĂą radicali dei femminismi. Quando capita di assistere a un tale incontro intergenerazionale si ha l’impressione che una polvere magica sia rimasta sul fondo delle tubature e abbia viaggiato chilometri per sfuggire indisturbata dai piĂą remoti lavandini e dai tombini dei centri sfarzosi, come a sfidare il tempo lineare e lo spazio astrale. In questo contesto espositivo le pratiche di cinque artistÉ™ celebrano questa contaminazione, offrendo la possibilitĂ di osservare piĂą da vicino uno spazio di discussione e condivisione.Â
L’attraversamento di questo spazio comincia con l’opera di Alisa Heil, It’s ok to cry. Un memento glassato nelle ore piĂą calde della giornata da perle di cristallo che riflettono piccoli arcobaleni. Attraverso quest’opera l’artista incoraggia a custodire e celebrare ogni tipo di emozione. Rabbia, amore, paura, vergogna, tristezza, gelosia, disgusto, felicitĂ , sollievo, speranza s’intrecciano fra i fili dei tessuti colorati. Le installazioni di Alisa Heil, immersive e oniriche, sono un invito a riflettere sulle dinamiche simboliche della cultura visiva, mettendo a fuoco in particolare le questioni della soggettivitĂ femminile. Attraverso la decostruzione di miti antichi, che traduce visivamente nel presente, il suo lavoro propone una lettura e una comprensione alternativa della comune narrazione patriarcale e delle sue implicazioni odierne.
L’esposizione TUBATURE si propone come uno sguardo su una selezione di pratiche artistiche che s’incontrano nelle profonditĂ piĂą radicate e oscure della quotidianitĂ e nelle retrovie piĂą radicali dei femminismi. Quando capita di assistere a un tale incontro intergenerazionale si ha l’impressione che una polvere magica sia rimasta sul fondo delle tubature e abbia viaggiato chilometri per sfuggire indisturbata dai piĂą remoti lavandini e dai tombini dei centri sfarzosi, come a sfidare il tempo lineare e lo spazio astrale. In questo contesto espositivo le pratiche di cinque artistÉ™ celebrano questa contaminazione, offrendo la possibilitĂ di osservare piĂą da vicino uno spazio di discussione e condivisione.Â
L’attraversamento di questo spazio comincia con l’opera di Alisa Heil, It’s ok to cry. Un memento glassato nelle ore piĂą calde della giornata da perle di cristallo che riflettono piccoli arcobaleni. Attraverso quest’opera l’artista incoraggia a custodire e celebrare ogni tipo di emozione. Rabbia, amore, paura, vergogna, tristezza, gelosia, disgusto, felicitĂ , sollievo, speranza s’intrecciano fra i fili dei tessuti colorati. Le installazioni di Alisa Heil, immersive e oniriche, sono un invito a riflettere sulle dinamiche simboliche della cultura visiva, mettendo a fuoco in particolare le questioni della soggettivitĂ femminile. Attraverso la decostruzione di miti antichi, che traduce visivamente nel presente, il suo lavoro propone una lettura e una comprensione alternativa della comune narrazione patriarcale e delle sue implicazioni odierne.
Come una conduttura, l’esposizione si divide ma l’occhio cade involontariamente sulla grande opera a parete che abbraccia l’intera sala. Nello spazio fluido di Marion Baruch è un’opera iconica, paladina stessa della pratica dell’artista. Grazie ai ritagli, ai vuoti e ai pieni, l’artista da vita a spazi di libertĂ . L’intenzione, tramite questa serie di lavori lavori costituiti da scarti tessili provenienti dagli atelier di confezione delle grandi case di PrĂŞt-Ă -porter, è di invitare il pubblico a entrare e gioire di questi spazi per restituire vita a qualcosa che altrimenti andava perduto. Il lavoro di Marion Baruch ruota attorno alla sua determinazione di donna e artista e alle infinite strategie da lei messe in pratica per mantenere la sua indipendenza. Grazie alla sua profonda interdisciplinaritĂ , Marion Baruch ha prodotto una moltitudine di lavori che l’hanno portata a indagare il rapporto con il proprio corpo e con quello dellÉ™ altrÉ™.Â
Due figure conservate nella porcellana osservano le finestre spaziali di Marion Baruch. Ensouled Artifact e Injured Fairy sono emerse dell’universo personale di Manuela Cossalter. Queste creature di porcellana sono le affidatarie dell’introversione, l’intuizione e l’immaginazione dell’artista. Delle custodi del mondo sommerso nel quale regnano paure e sogni. La pratica artistica di Manuela Cossalter è popolata dalle creature ibride provenienti da varie mitologie e immaginari, passate e presenti, che diventano testimoni sia della difficoltĂ dell’introversione che della sua inesorabile capacitĂ immaginatrice.
Osservatrice stanca della scena è la tela Our blue tranquility di Hélène Padoux, un dipinto che può far pensare al realismo magico in cui convivono coppie ambigue, compagne di un’ampia meditazione sulla capacità dell’incanto nel contesto capitalistico contemporaneo. La depressione e la leggerezza, la voglia di vivere e quella di perire, il familiare e l’estraneo compongono anche Fin de saison. La produzione pittorica dell’artista evoca una forma di obsolescenza e di stanchezza rispetto agli ideali passatisti di un progresso umano senza fine.
Una spirale urlante ci trascina verso Senza binari (1) e (2), un collage e un dipinto, proposti da Rebecca Solari. Due opere risultato di un progetto in corso, nel quale l’artista insieme alle sue nonne, rispettivmente Elena Solari e Carla Tognini, sta lavorando a conversazioni attorno a temi quali: la necessità di risoluzione collettiva verso una direzione nuova, sorprendente, rivoltata ed una modalità binaria inadeguata, un controllo macchinale diretto e una funzionalità fissa di praticità e consumo. L’artista e le sue nonne si avvalgono del treno senza binari come simbolo e moto immaginario verso una prospettiva futura migliore. La pratica artistica di Rebecca Solari è un racconto personale del vissuto e della rappresentazione di se stessƏ, così come sulla volontà di distruggere i codici prestabiliti e di esplorare le identità sociali, di genere e di contesto.